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Diario di tetikali

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ottobre 2008settembre 2008...
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{ mercoledì 1 ottobre 2008 }

Un libro semplice....

Il racconto di Giacomo Fusini (Parte I)

Non mi piace perdere tempo, vengo al punto, sono io l'assassino.

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Non mi piacciono le storie dove bisogna arrivare a poche parole dalla fine per scoprire chi è l'assassino, che certamente non è il maggiordomo. Sto solamente giocando, non sono io l'assassino e questa storia non parla di omicidi.

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Forse

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Il mese scorso arrivò un uomo da me. Era pomeriggio. Toc toc. Le mie attività smisero di colpo.
Nessuno ha bussato alla mia porta da quando… da tanto tempo, ma quel giorno la mimosa alla porta fu cambiata; la porta risuonò come un bacio in una chiesa.
Fui io a cercare l'isolamento. Andai ad aprire. L'uomo mi si buttò fra le braccia. Era stremato. Dopo un tè ci riprendemmo entrambi: lui dal viaggio ed io dalla sorpresa.
Si alzò, lentamente, deciso. "Devi sapere -cominciò- perché sono arrivato da te".
Una tempesta di domande cominciò a sbattere nella testa come migliaia di palline, sdeng sdeng, ding sdung...

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Chiara tirò su la testa, erano le sei del pomeriggio.
Da qualche anno era riuscita a trovare un po' di equilibrio nella vita, con l'esercizio della regolarità e della puntualità. aaaaaErano le sei ed era l'ora per prepararsi ad uscire. Di lì a tre quarti d'ora si sarebbe trovata davanti al fruttivendolo, ad aspettare la sua amica e da lì, a fare la spesa. In quel periodo andava di moda farla la sera.
Saskia arrivò puntuale.
"Ho cominciato finalmente. La verità è che... avrei dovuto iniziarlo già da tempo. L'altra notte l’ho sognato ancora e oggi, alle due, mi sono messa davanti al computer. Sai a che ora ho cominciato?!”
Saskia scosse la testa, non aveva certo idea, che ne sapeva di cosa combinasse Chiara, da sola, in casa.
"Dopo le cinque. Ti rendi conto! Alle cinque passate"
"Ah" esordì un po' sorda Saskia.
"Dimmi" fece Chiara con tono di chi ha un'idea di ciò che sta per udire.
"Simo sarà al Serendipiti verso le otto e mezzo -aspettava che incamerasse le parole- m’ ha chiesto se l'avremmo raggiunta".
“Ehm… no. Sa’, scusami. Lo sai che non esco la sera, fino al venerdì."
"Spero che il tuo sogno si realizzi, così, magari… ti passa. Sei diventata insopportabile. Cerca almeno di non farlo pesare agli altri". aaaaaSaskia s'avvicinò, Saskia la baciò con dolce severità, Saskia se n'andò. aaaaaRimaneva da prendere l'insalata, i biscotti... quasi tutto.

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"Quand'ero ragazzo feci un sogno.
Mi trovavo ad un ricevimento di matrimonio. La casa, che peraltro è riconoscibile nella realtà, come molte delle facce che vidi, compreso lo sposo, era pericolante e infatti, mi stupii del fatto che vi fosse un tale movimento. Ricordo che i nonni dello sposo abitavano nella stessa via.
Ad un certo punto la sposa sparì. Ero l'unico ad averla vista andare via. Aveva preso la scala per la cantina.
Da piccolo ero terrorizzato da quelle scale ed ugualmente attratto: mi offrii di andarla a chiamare. Mi reputavo l'unico in grado. Il punto della casa era crollato e Mi avventurai con cautela fra le macerie.
Lo sposo era preoccupato ma tornò dagli ospiti.
La discesa sembrò non finire più e quando giunsi nell'oscurità, una lampada ad olio si accese. Un pastore maremmano era incastrato e mi confessò d'esserlo da tempo. Era una sorta di licantropo e nonostante quello che era accaduto di sopra, era lo sposo stesso.
Sapeva dove fosse la sposa. Io aiutai lui e lui mi portò fino alla cantina. Era stata divisa in due. Rimaneva di qua, qualcosa come un pianerottolo: a destra i vestiti della sposa; a sinistra un lettino, malconcio, con una coperta rimediata, dove sotto tremava la sposa. Portava una veste ricavata dallo stesso materiale della coperta. Si alzò, mi porse un vecchio libro, stretto e lungo, risalente al 1600 circa. Libro di versi, dalla copertina semidistrutta, dall’ appena leggibile autore: “Xavier”. La sposa mi fece intendere che mi stava attendendo da almeno 200 anni".
L'uomo fece una breve pausa per bere un sorso di tè che avevo di nuovo versato nel bicchiere. Poi
"... mi svegliai confuso. Cercai sui libri notizie sulla letteratura del ‘600. Non sapevo l'origine del nome e la reputai francese piuttosto che inglese ma... niente. Non trovai niente su questo nome.
Il tempo passò, gli studi finirono presto e i lavori si susseguirono improvvisamente, con troppa confusione, per il mio carattere. Alla fine mi dimenticai del nome e del sogno.
Dopo diversi anni rimasi a bocca aperta: mi ricordai di aver letto, settimane prima, un nome curioso: Xavier. Mi tornò in mente tutto, la sposa, il cane, il nome, la casa, tutto il sogno. Da allora cominciai a sentirlo e leggerlo continuamente su riviste, film, nomi di personaggi…"

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Aveva mal di testa, Chiara, salvò il documento e si preparò un fumento al mentolo-f#######o. Non aveva raffreddore ma le faceva bene. Il fumento aveva su Chiara un effetto rilassante.
Si fece una sigaretta e l'appoggiò accanto alla tastiera, con la lentezza di un gesto sacro. Era un vero e proprio rituale; l'avrebbe fumata dopo un caffè.
"Orfana sigaretta senza caffè e il caffè inorridisce come padre, davanti ad un figlio degenero" le diceva sempre. Pensò a lui, alla sua forma di geniale follia, all'eredità che le aveva lasciato.
"Hai un modo di scrivere che mi fa impazzire, poetico a prescindere"
Rifletté. Rifletté e non trovava niente del genere, nella sua scrittura, da anni. Fumò avidamente.

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"Diventò una vera ossessione, a tratti mi sentivo libero ma in altri... non avevo altro in testa che il sogno, il letto, la sposa-Xavier... Era normale, in un attimo di ironia, che esclamassi

"chi era costui!"

con un sorrisetto. Non riuscivo a farne a meno. Ebbi qualche tempo di pace, un incidente di macchina. I dottori mi dissero che non ero in coma, ma che ero caduto in preda ad un sonno profondo. Il mio corpo si rifiutava di reagire. In fondo sapevo che, reagendo, il tormento si sarebbe diffuso come una peste. Mi risvegliai dopo aver fatto un sogno, ancora più tremendo".

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In un lampo, se non si fosse distratta, il mal di testa sarebbe tornato. Qualcosa s'era bloccato.
"Forse non ci riesco... Saskia! Scusami. Avevi ragione, meno male che eravate ancora qui. Mi ci voleva."
"Senti, come va con la tua missione?"
"Un po'... troppo... a rilento!"
"Ora stammi a sentire, hai preso una settimana di ferie, ci hai sobbarcate di lavoro e tu che fai? Vai a rilento?! Vedi disbrigarti. Il capo dice che sei in gamba, ma c'è aria di licenziamenti... stai attenta. Davvero. Se perdi questo lavoro potrebbe essere alquanto tragico per te".
"Hai pienamente ragione. È che la storia mi si ingarbuglia fra le mani. Ogni momento! Non sono all'altezza; è proprio una dura eredità!"
"Fattelo dire, io non l'ho conosciuto, il tuo amico, ma credimi, da quello che mi hai raccontato, era complicato forte... Ma in che razza di guaio ti sei cacciata! Era un po' che riuscivi a starne fuori. Ehi! dove guardi? Te ne rendi conto o no che è morto!? Qualsiasi cosa tu faccia, lui è morto, non gli cambia niente... se lo sai... Chiara... Chiara?!"
"Si... hai ragione, smuah!, ciao!"

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"Devi sapere perché sono qui. Io sono l'unico ritornato da una terra che non ha ritorno".

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Avrebbe voluto inserire nella storia anche la vicenda di un'altra follia dell'amico scomparso.
L'uomo sarebbe arrivato sconvolto da un'isola, da un'isola da cui non c'è ritorno. E lì avrebbe fatto ritorno giacché non sopportava più la vita di questo mondo...

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tetikali - 09:10 - 0 commenti - commentainizio

{ martedì 30 settembre 2008 }

un libro semplice

...Per il gatto fu l’ultimo giorno con Ber.

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Giacomo –Parte Quinta

C'era una volta un bosco stretto, molto stretto, tanto stretto che uno spillo faceva fatica a passarci.
Al centro di questo bosco c'era una botola piccina piccina piccina che portava a un villaggio abitato dalle fate.

Il villaggio era in mezzo al bosco, un bosco come quello di sopra, era quello il bosco di sotto, il sottobosco, insomma il sotto del bosco... o...

Le fate che abitavano il bosco sotto, sotto quello stretto, erano molto attive. Lavoravano tutto il giorno e non perdevano mai un attimo di tempo per riposarsi prima dell'ora del riposo notturno, anche se era assai difficile capire quando fosse giorno o quando notte. Era difficile stabilirlo soprattutto per gli abitanti di sopra, non per le fate.

Ogni fata aveva un lavoro proprio. Non usavano la moneta ma scambiavano semplicemente il proprio lavoro, con un altro di cui avevano bisogno.

Le fate sono famose per i loro poteri, per le polveri magiche e magari per essere dispettose. Dispettose, almeno, agli occhi degli abitanti di sopra che non conoscevano il mondo sotto il bosco. Ammesso che ci avessero creduto.

C'era la fata che lavava i vestitini, c'era la fata che consegnava la posta, lei era l'unica che lavorava di notte, perché era risultata invalida e quindi, per non perdere la pensione... non si faceva vedere. Nessuna lettera, vaglia, telegramma, bolletta della… luce, l'abbonamento ad… Alice o pubblicità, arrivò mai. In fondo era onesta. Era solamente una scusa per gironzolare quando tutte le altre dormivano. Non chiedeva niente in cambio.
C'era la fata che spuntava i cappelli a punta dell'estate. La sua mansione era molto importante perché sarebbero cresciuti a sproposito. Sarebbero inciampate, si sarebbero aggrovigliate e alla fine annodate e, dal momento che non sapevano di essere fate, non avrebbero potuto fare incantesimi; neanche per sciogliere le punte dei loro cappelli.
C'era la fata giardiniera, quella speciale, perché un giorno apparve una pianta strana che attraversava l'intero villaggio, dividendolo a metà.
Annaffia che ti riannaffia, crebbero anche i pomodori: San Marzano, cigliegini, da insalata e anche qualche baccello di fave.
Era diventata davvero una bella siepe, ricca.

Una mattina la fata giardiniera speciale, svegliandosi, si accorse che la siepe misteriosa era scomparsa.
Riunitesi intorno al grande fuoco per un'assemblea speciale le fate discussero una notte intera, un'alba intera, fino al crepuscolo intero: per giungere alla conclusione che non sapevano cosa fare. Era stata l'unica occasione per avere pomodori e odori diversi nel villaggio.

Dopo due o tre lune arrivò al villaggio un essere piccolo piccolo piccolo, ma non piccolo come le fate, le forme dell'omino erano quelle di un gigante.
"Mi sono svegliato una mattina in terra di Tramontana senza ricordare chi fossi. Ho cominciato a vagare qua e là, inciampando in ogni granello di sabbia, finché sono giunto qui da voi."

Un'altra riunione speciale si svolse quella notte, ma senza la presenza dello straniero. Lo lasciarono in disparte, sotto un fungo porcino. Bastarono due ore per capire che si trattava di un gigante, con la memoria persa per un po', dopo un sortilegio della Regina di Tramontana. Conoscevano bene la sua fama, anche se non ricevevano posta.

La mattina successiva chiamarono il gigantino di buon'ora e
spiegarono la loro intuizione. Lui non comprese granché di quelle parole ma si volle comunque fidare delle fate: dette loro completa fiducia.
In un attimo si trovò appeso per le bretelle ad un albero e tutte le fate assieme lo tirarono per i piedi verso il terreno. Tira... tira... tira... tira... tira... ma niente: si era allungato di due metri e dopo un sorriso di soddisfazione delle fate e un verso non raccontabile del piccolo sfortunato, si ruppero le bretelle e s'arrotolò come una tapparella ai rami dell'albero.
Per quel giorno il gigantino ne ebbe abbastanza e le fate avevano tutte le mani bruciate. I giorni passarono a tentare di allungarlo in ogni maniera: appeso al filo per stendere panni, agganciato al pozzo, attaccato ad una fionda usato come elastico…
Nessuno di questi metodi fu efficace. Alla riunione speciale successiva, partecipò anche l’ospite: parlarono tutta la notte, il grande fuoco scoppiettava e tutti i visi erano illuminati.
La fata zoppa si alzò per prendere un po' di idromele, bevanda delle fate usata solamente in occasioni speciali. Nel tornare inciampò e cadde ruzzolando in un tunnel fino a quel momento sconosciuto.
C'erano delle strane, mollicce piante verdi; giunse in fondo, dove trovò luce e un gruppo di fate. Queste informarono la pensionata che un Essere del mondo di sopra era venuto in contatto con il loro mondo e aveva poteri a sufficienza, forse, per sconfiggere la regina di Tramontana. La fata postina raccontò quello che era accaduto nel loro villaggio. Le fate, sapevano già del sortilegio subito dal gigante e del segreto delle fate lavoratrici. Si offrirono di accompagnarla e in un batter d'occhio e arrivarono al grande fuoco.

Quella notte fu grande festa per il ritorno della fata zoppa, per onorare le fate della Luce e per festeggiare la memoria tornata al gigante.
Nessuno volle perdere tempo: le fate lavoratrici, bagnando con l’idromele la barba del gigantino, riuscirono a portarlo a grandezza naturale: sembrava infinito era... gigantesco, appunto.
Da parte sua, il gigante, disse alle fate di essere fate e che avrebbero potuto anche fare qualche piccolo volo per arrivare fin lassù, davanti ai suoi occhi, per riuscire a ringraziarle.

Giacomo non sapeva cosa volesse dire questa favola ma lo faceva tanto ridere.

tetikali - 08:33 - 0 commenti - commentainizio

{ domenica 28 settembre 2008 }

un libro semplice...

Giacomo –Parte Quarta
C'è stato un tempo, chiamato "Pace di 100 Anni", in cui, ristabilita la pace dopo la “Guerra dei vènti”, ogni Regno era deciso e convinto a non muovere alcuna battaglia di conquista.
Il mondo delle fate ha sempre ciclicamente subìto guerre da uno dei Quattro Regni, per avere l'egemonia totale.
L'ultima guerra prima della "Pace", duratane almeno 300, sembrava essere quella del Compimento, quella che avrebbe zittito ogni brama di potere assoluto.
In realtà una nuova concezione di guerra era cominciata. Non era mai successo prima.
Una fata della Luce, o del Giorno, improvvisamente scomparve. Una delegazione della Luce viaggiò per tutto il Mondo, nel tentativo di trovarla. Inutilmente.
Ogni risposta era un no, sicuro, sincero, diretto. Ogni no era accompagnato da un'offerta di ristoro fra i pollini astrali e di rifornimento di idromele in quantità sovrabbondanti: "Per il viaggio, Sorelle" dicevano in ogni Villaggio, in ogni Regno.
Si fermarono in ogni villaggio di ogni regno. La ricerca durò 98 anni. Sebbene il mondo delle fate, non fosse così apparentemente sconfinato, non era facile tenere il conto dei villaggi a causa delle perturbazioni spaziotemporali.
Tali perturbazioni facevano spostare nel tempo e nello spazio, di un regno, ogni villaggio e talvolta anche i singoli regni subivano spostamenti radicali. Il problema non era delle fate della Luce, a riconoscere un villaggio già visitato: la grande difficoltà si presentava poiché ad ogni spostamento, le fate e i villaggi apparivano sempre diversi, oltre che in luoghi diversi: essendosi quindi spostati nel tempo, futuro o passato, non potevano ricordare della vista della Luce.
Quando la delegazione tornò nel proprio Regno, rallentata dal carico di idromele, fu accolta dalle fate rimaste, con grande felicità, anche se, subito, un'ombra sui visi si posò a dir notizia funesta.
Qualche anno prima, era passata per il villaggio più vicino al castello del Regno, una vecchina: costei andava raccontando di grandi disgrazie.
Motivo di preoccupazione, non era tanto la notizia della disgrazia a venire, tanto le espressioni e gli occhi della vecchia nell' osservare l'effetto della notizia di sventura sui visi delle fate residenti.
Lei parlava, lei osservava, tutte osservavano la vecchia.
Dopo mesi e mesi di questi sguardi, che si rimandavano da un viso all'altro, si capì che la fata vecchia, venuta da lontano, era solo una provocazione voluta da una Regina misteriosa, mai conosciuta.
Solamente quando era troppo tardi, si svelò a quale Regno appartenesse la Regina.
A complicare le cose era il fatto che la Regina non apparteneva al Regno bensì questo era stato assoggettato. Fu facile pensare che fosse quello di Tramontana.
Addirittura, qualche voce di fuori alitava che tale Regina fosse dotata di una forza superiore all'intero Regno.
La forza era dovuta all'aver abbandonato il Regno naturale ed aver preso le ridimi di un altro, quello ritenuto da tutti, più debole dei Quattro.
Tramontana non partecipò mai alla guerra contro gli altri regni. Di volta in volta provava solo a difendersi dagli attacchi esterni e veniva, puntualmente, colonizzata dalle fate guerriere degli altri Regni.
Soltanto una fata della Luce conosce i profondi segreti della Luce e solo conoscendoli, una fata che ha rinnegato la propria Natura, avrebbe potuto fare un incantesimo per bloccare efficacemente le fate della Luce.
Ber lo scrittore –Parte Terza

Pensò alle parole di Anto. Era infuriato quando le pronunciò. Ma ora, con più calma, non gli parvero così fuori luogo. Alzò le spalle e si rimise a lavoro. “Steng” il gran trambusto si fermò alla prima lettera. “Claaaax! Cla-cla-claaaa-xooooon!”
L’auto fu implacabile. Erano quasi le tre, incredibilmente in orario, addirittura.
Il corpo di Ber era sempre più pesante. Andò alla porta. “Va bene –gridò composto- tutto a posto? Bene”. Dall’abitacolo i gesti della faccia erano inequivocabili.
Ber chiuse la porta con lo sguardo al pavimento “vabbeh”. Un sospiro e tornò alla scrivania.
“Uff… bagno”.
Pensava a quella situazione imbarazzante con Anto: “Cosa vuole questa volta”. I pensieri e le immagini si mischiavano nella sua mente: qualche spintone e poi un vortice che lo riportò all’inizio…
Il tempo passava velocemente.
“Spam, span, spatum, tuum. Buon giorno Ber, c’è da mangiare?”
Ber si girò lentamente come se avesse il cemento nelle ossa: “qual coraggio. Buongiorno, anzi buon pomeriggio, direi. Guarda”.
L’orologio a pendolo parlava chiaro, un quarto alle quattro. “Beh, -con un mezzo sorriso- mi sono appoggiato un attimo… hai già mangiato?”
“Si –rispose Ber rassegnato- non ti ho voluto svegliare. La cucina… -indicò- il frigo… lasciami lavorare un po’. Grazie Anto. Parleremo dopo”.
“Veramente io… vorrei…” tentò Anto.
“Ho-detto… a-ce-na!” scandì definitivamente Ber.
“Mi facci(o una doccia e poi un boccone. Lavora in pace. Ma sempre a scrivere. È una pena, una volta eri diverso…)”
Anto aggiunse anche questo, visto che finì la frase tra il bisbiglio e il suo pensiero.
Girò con leggera piroetta su se stesso, sperando di essere notato da Ber e sperando di spillargli un sorrisino. Fu inutile. Ber era intento al suo lavoro, o almeno sembrava. La sua grossa schiena non lasciava dubbi: era curva al punto giusto.
Era concentrato Ber, ma su altri pensieri. Nuove vorticose immagini si allungavano elastiche nella sua mente: fiori in giardini sospesi con visitatori impensati; isole scomparse all’insaputa degli abitanti; un oscuro signore che costruisce un grande libro: “Cosa ci scriverà! È un libro prezioso, dalla copertina arzigogolata, realizzata con svariati materiali. L’uomo ha un cappello grande, così particolare, cosa ci scriverà!
Giacomo Fusini, aveva deciso di chiamarlo così, rischiava di non trovare alcun manoscritto, di non incontrare la vecchia e rischiava anche di non avere gli occhi dalla luce…
Era rapito da questa figura tra ombre di luci fioche in un laboratorio, avrebbe detto, che pazientemente costruisce un grande libro. Avrebbe somigliato, si suggeriva, alla costruzione del libro del…
Il suo pensiero discorsivo, con se stesso, si interruppe prima della parola che avrebbe detto, alzò la testa, gli occhi spalancati e la bocca secca: “DES-TI-NO”.
“Puoi parlare adesso? Dai, concediti una pausa”
Ber si riprese di soprassalto: “Si. Parliamo.”
Era inutile, in quel momento. Aveva bisogno di chiarimenti. Era confuso e senza la testa sgombra non riusciva a concentrarsi.
“Di cosa hai bisogno questa volta? Tu mi sei molto caro, lo sai, ma ogni volta che ti riavvicini alla mia vita, sento di rischiare qualche pasticcio. Per quanto non neghi il mio passato, ora è abbastanza passato da essere, non dimenticato, ma non essere appunto così presente”. Ber si limitò a girarsi dalla scrivania e seguire con gli occhi i movimenti, un po’ frettolosi e goffi di Anto, indaffarato in cucina, davanti al frigo.
“Niente di speciale, mi sono ritrovato con qualche giorno libero e ho pensato “è tanto che manco, vado a fare una visitina? Vado!” ed eccomi qua”.
“Non credo a quello che dici, giorni liberi? Tu? Libero da cosa? Tu non lavori. Vent’anni fa lavoravi, quando tirasti fuori quel lavoro geniale su quell’isola bianca. E poi? Gli allori nella testa, si, proprio dentro, gli allori marciscono come marciscono le rose, amico. Non hai prodotto più niente se non… cosa? Pubblicità, spettacoli e pur scadenti? Vivi dei diritti che ti arrivano, appena sufficienti per i tuoi bisogni, e poi quali! Trombe squillate! Anto è uscito dalla sbronza mattutina alle… che ore sono? Ecco, alle 5 passate il Signore ha smaltito la sbronza. Ma ecco, come potete notare, il Signore si sta preparando per riscaldarla bene! Anto, cosa vuoi!”
“Non avrei mai voluto dirtelo, ora il dubbio che

tetikali - 21:18 - 0 commenti - commentainizio

{ giovedì 25 settembre 2008 }

un libro semplice 5?

Dammi un bacino
(Ogni riferimento, citazione, più o meno palese a film, pubblicità, etc. è pienamente voluto e liberatorio)

Al bordo di un bosco, dormiva serena una Principessa che aspettava il consueto bacio per risvegliarsi da un lungo sonno. Un corvo si appollaiò su un ramo di un albero lì vicino e cominciò a fissarla. Lo sguardo dell'uccello sembrava di compassione, suggeriva: "poveretta". Continuò a fissarla per ore, finché lei aprì un occhietto e disse: "Che c'è! E Lasciami (dormire) in pace".
"Vi siete viste come siete conciate? -imbeccò il corvo- dormite incuranti della vostra bellezza e del luogo dove dormite."
Fece una pausa e che effetto provocò! Stava per ricominciare a sentenziare ma smise subito dopo i primi due o tre suoni e scosse la testa.
La principessa si rimise a dormire.
Il corvo scosse la testa.
Passò di lì un Principe che la baciò e vissero feli...
Era giusto un sogno: quello di un'addormentata e nemmeno bella: brutta come un tocco... ma pur sempre Principessa.
Il principe passò, la vide e fece finta di nulla.
"Zitto, zitto. Se ci sente siamo rovinati".
L'asino, fedele destriero, scosse la testa. Il corvo, fedele osservatore, scosse la testa.
Il Principe, di nessun colore, era unico nel suo genere: qualcuno ha mai visto un Principe del genere? Bene, in questo bosco c'è, eccolo, lo potete vedere: è un Principe mal vestito, un po' sporco, poco scintillante e... com’era? Ah, tanto meno adatto per regnare, questo principe!
Allungando il passo e trascinando l'asino -non si sarebbe mai sognato di portare il Principe sul dorso- si voltava per vedere se la Principessa desse segni di coscienza; presto arrivò abbastanza lontano da non preoccuparsene.

Quando il Principe fu lontano, tirando un sospiro di sollievo, la Principessa, lì al margine, si svegliò sul serio. Il corvo faceva finta di niente e lei si sgranchì. Arrivò al ruscello per bagnarsi la faccia e miracolo! Divise le acque... no, non proprio. Il ruscello si ritrasse perché non avrebbe potuto sopportare oltre il riflesso della Principessa Azzurra. La principessa si schiarì l'ugola, si guardò a destra e a sinistra: nessuno aveva assistito alla gran bella figura e visto che la faccia era ancora salva –che coraggio-, saltellando leggiadra, si avviò nel bosco.
Il corvo scosse la testa.
La Principessa si ritrovò nella parte più buia del bosco. Era notte e non vedeva un’ acca. Lei non vedeva e quella era muta: non poteva nemmeno chiamarla e dal momento che era impossibile procedere innanzi, decise di fare un bel sonnellino...
Sul far dell'alba un asinello passò davanti alla Dormiente. L'asino la riconobbe e, non era un asino “pinco pallino”, corse dal Principe e lo trascinò in quel punto del bosco. Arrivarono che Lei si stava svegliando, era ancora intontita dal sonno... il Principe cominciò bisticciare. A bisticciare con l'asino? Certo che no e per ben due motivi: non discuteva mai con l'asino perché avrebbe perso ogni volta e perché bisticciava con il suo gemello, siamese.
Ta-taaah! È proprio vero, è Lui, il famoso Principe Siamese.
Cominciò dunque a bisticciare col suo gemello: "no tu io, oh no, io no, tu no, si..."
L'asino, saggio riconosciuto in tutto il Regno, calmò il Principe con due paroline all'orecchio. La principessa aveva sul viso stampato un sorriso compiaciuto: "Ci siamo! –pensava- finalmente avrò il bacino tanto desiderato.”
L'asino si scusò con la Principessa e portò via il Principe Siamese.
"Dove stiamo andando" -domandò il principe
"Andiamo dal mago dei maghi “Saggio SaggioRon", lui saprà come consigliarti sul da fare”.
"Ma non si chiamava saggio Saggiorum?!"
"Sì, certo. Ha avuto dei riconoscimenti internazionali”
“E allora?” disse il Principe.
“Noi –riprese l’asino, stufo di fare il saccente- siamo gli unici a dire Rum anziché Ron. E’continuamente in videoconferenza con mezzo mondo e... ma avete presente quei piccoli aggeggi che fanno vedere te stesso a qualcun altro da un’altra parte e viceversa… vabbè, lasciate perdere. Deve pur darsi una certa importanza e quindi…"
La Principessa continuò a vagare per tutta la giornata, cercando una soluzione al proprio problema: doveva assolutamente trovare qualcuno che la baciasse, ma non a lungo, gliene bastava uno, uno solo, un solo bacino. Senza sapere come, si trovò davanti ad un castello meraviglioso, non aveva mai visto tanta bellezza. Si avvicinò con passo indeciso, aveva paura di rovinare la quiete del castello protetta da un'enorme nuvola di fiori. La Principessa Azzurra ebbe il buon proposito di non disturbare, ma, essendo molto sbadata, dimenticò di questo e colse un fiore.
Le risultò fatale, o forse una manna dal cielo, anzi dal castello: cadde addormentata dopo essere sbandata un po' di qui e un po' di là, aver battuto la testa su un ramo bassissimo e inciampato su una radice.
…ed ella giacea addormentata innanzi alla grande fortuna, non sapea del suo destino, non volea il suo passato, dormiva…
Il Principe si rassegnarono al proprio destino, daltronde, come disse Federico, "il destino è quel che è (non c’è scampo più per me)", e intrapresero la scalata, col Destriero, verso la Dimora di Saggioron.
"Come Saggioron, o fido, lo conosciamo con il nome di Saggiorum, ti sarai sbagliato!" dissero il Principe.
L'asino, con un tono di superiorità si rivolse al Regale: "Troppo impegno nel baciare le bisognose e si finisce per trascurare gli eventi mondani. Una volta veniva chiamato Saggiorum ma quando ebbe la dis...grazia di vincere il Play Mobil... taratan tarata... e così, per tali riconoscenze internazionali, elevò il suo nome all'Albo Sacro degli Eterni… ma te l'ho detto pochi minuti fa!"
L'asino cominciò a prendere in seria considerazione la possibilità di dimettersi. Tra se e se pensò: "Questa è l'ultima missione, questo è l'ultimo bacio". Farfugliò e decise.
Raccontando raccontando… arrivarono innanzi, con lingua "pendula", innanzi alla Dimora.
"C'è nessuno?!" stridette l'asino con il poco fiato rimasto.
"Chi è che rompe a quest'ora durante i miei affari, non sapete che potrebbe penare la morte per aver disturbato uno degli Eterni? ... ah! –calando di tono- siete voi"
Gli intervenuti erano scioccati da quel grande fare di Saggioron. Era in mutandoni e cercava di nascondere un... eccolo, un numero di Dylan Dog.
"Questo state facendo Vostra Sciaguratezza, un fumetto...". Era solo il pensiero del Destriero che invece disse: "Siamo qui, o Venerabile, per una questione di delicata importanza".
"Prego, Bestia, dite, siamo in ascolto, forza, forza!"
"Il Principe, come sapete, hanno compiti ben precisi nella comunità, ma ora si trovano davanti a un caso di bruttezza inaudita"
"Ah, -interruppe Saggioron- parlate sicuramente di Azzurra, la Principessa. Ne sono al corrente. Tutti ne sono al corrente. Non si possono tirare indietro, è il loro Ufficio, semplice, limpido cristallino: alcune volte va bene e altre... beh, peggio di così... Comunque, come può il nostro sacro tempo esservi utile?"
"Ebbene, siamo qui per poter capire chi dovrà baciare la… -ebbe un attimo di ribrezzo- Principessa"
Saggioron si lanciò in un tono ancora più elevato e maestoso: "Il potere concessomi dagli Dei appagherà di giustizia i vostri miseri compiti. –breve pausa- Che c'è, siete ancora lì? Raccoglietevi, preparatevi a ricevere i benefici del Cielo. –si girò di colpo- Arrivo subito.”
I beneficiari, perplessi, si raccolsero anche se non sapevano come.
Con un occhio, uno solo, accompagnarono Saggioron fino alla porta, il corridoio, il bagno, "il bagno?!"...
Saggioron tornò severissimo, visibilmente più rilassato e "siete pronti?!"
Cominciò

"Whisky Ragnetto che sale la montagna la pioggia lo bagna
e Whisky scende giù!
Il sole è arrivato e Whisky s’è asciugato
e sale la montagna va s

tetikali - 19:32 - 1 commento - commentainizio

{ martedì 23 settembre 2008 }

un libro semplice,3

Ber lo scrittore –Parte Seconda

Ber sbuffò e quasi volò dalla poltrona al bagno: una doccia, fredda, avrebbe schiarito le idee.
Che cosa voleva Anto dopo tanti anni? "E’ una vita che non si fa né vedere né sentire".
Cantò, quasi, Ber sotto la doccia.
Alle 10 era pronto per uscire. L'auto, la provinciale, pezzetto di autostrada ed eccolo alla stazione. Erano quasi le 11 e Ber necessitava di un buon caffè!
Il bar della stazione era piccolo, ma caldo e accogliente. Entrò andando subito al bancone e solo dopo aver ordinato, notò un cappello familiare: "Anto!” gridò.
"Ber! –rispose Anto- che coincidenza, sono appena arrivato, ti avrei chiamato a momenti per invitarti a cena, che ci fai alla stazione?”
Ber, come i presenti, era rimasto a bocca aperta, alle parole di Anto.
Decise di soprassedere, per il momento almeno, e andare. Arrivarono all’auto in silenzio.

Dopo l’autostrada, dopo un rospo ingoiato di prepotenza, dopo un accennato schiarimento di voce, Ber ruppe il silenzio decisamente contrariato dall’avvenimento.
Anto non capiva le parole dell’amico e non nascondeva smorfie mimiche d’incomprensione.
“Cosa vuol dire 11 e 24? Di quale telegramma parli?”
“Ebbene, –prontamente Ber- hai voglia di giocare. Ne parleremo quando il tuo becco non puzzerà più di alcool, a cena, il momento giusto per ribagnarlo. Anto, credevo ti fossi dato una calmata! Alle 11 non puoi essere così carico...”
“Ma Be…”
Anto lo interruppe, ma lo sguardo di Ber lo gelò.
“A cena. Devo lavorare!”

Giunti a casa Anto si riversò nella camera degli ospiti, dove cadde in un sonno profondo; e anche in un sogno…
Ber, senza badare oltre al quasi-intruso, si vestì da lavoro e cioè, completo di lana e cotone, vestaglia amaranto, pantofole grigie, e si posizionò davanti alla macchina da lavoro.
Dopo qualche minuto riuscì a scordarsi, il necessario, della mattinata; batté qualche parola di riscaldamento: appunti sul suo umore, soprattutto: era una prassi costante. La mattina stava giungendo al termine, 12 e 51: “pranzo.”
Tale presa di coscienza lo distrasse prima che avesse battuto un tasto sul racconto progettato.
Non aveva per niente fame, ma un po’, conoscere bene il proprio metabolismo e un po’ la disciplina… i fornelli diventarono la meta successiva.
“Un’insalatina con cipolle magari, un po’ di formaggio fresco e mezzo bicchiere di vino -pensò a voce alta- Anto dorme, non lo sveglio, figuriamoci il tempo che mi farebbe perdere. Ce n’avrà fino alle 3 o le 4…”

Decisamente, Ber pensò a voce alta.

Durante il pranzetto frugale pensò al progetto.
Un giovane con pretese capacità di scrivere, troverebbe un manoscritto di una vecchia pazza.
Ber scovò la scena della vecchia e del manoscritto da un libro di canti di un poeta morto giovanissimo, francese.
Il ragazzo si sarebbe appropriato del manoscritto e, giusto il tempo di personalizzarlo un po’, lo avrebbe poi pubblicato a suo nome. Si sarebbe dato da fare per promuoverlo, cercare locali dove presentare l'opera. In una serata di queste, sarebbe stato avvicinato da una donna, inviata da un personaggio oscuro, che lo avrebbe sedotto. Arrivati a casa avrebbe incontrato, in un modo alquanto singolare, il signore oscuro. Ber era molto indeciso sulle altre parti del racconto. Pensava ad un incontro parallelo del ragazzo con la vecchia, dentro un fantasioso palazzo di giustizia... alla fine del corridoio, la vecchia, avvolta da fiamme blu, avrebbe donato gli occhi al ragazzo.

Giacomo –Parte Seconda

“Buongiorno” dissero le fate al Fungo-Banana, il quale rispose con la strana parlata da… Fungo-Banana: “Buongiorno! Chi siete che andate, dove?”
Venne avanti la fata Parlina: “Siamo le fate del Giorno e stiamo andando verso… Tramontana, è giusta la strada?”
Il Fungo-Banana cominciò a muovere le bucce parlanti e borbottò qualcosa, tipo “si si, io ve lo dico, Tramontana Tramontana”.
“Grazie” “Grazie”
“Grazie” “Grazie” “Grazie”…
“Grazie” “Grazie” “Grazie”…

e le fate continuarono a percorre la strada verso Tramontana.

Una volta lontane, il Fungo-Banana cominciò a roteare su se stesso e, con uno slancio, fece volare il suo cappello…
Regno di Tramontana era dominato da un monte, sul quale era stato costruito, tantissimo tempo prima, un castello.
Dopo quattro giorni di voli faticosi, le fate arrivarono al castello e, nel vederlo “Acci acci picchio e Lina”, si levò un coro “ma questo eccì ma questo ecciù… questo? Questo sarebbe eccimpete! Questo dovrebbe essere un castello acciumpete un castello?!”
Ed avevano pienamente ragione: una specie di paglia secca, “tiamìni” e lingue secche di lontre, ma non lontre normali…
Sembra che lì siano sempre piovute, piovute: lontre dal cielo, a grappoli, singole o a “gruppi di tre”.
E poi la forma… la forma di questo castello non è la forma di un castello!
Le fate fecero con pazienza tutte le fermate, prima di arrivare nella stanza Udienza della Regina.
“Sapevo del vostro arrivo e ho fatto moltiplicare i controlli, solo per complicarvi un po’ le cose.
Ebbene, ho accettato di ricevervi unicamente per chiedervi come avete fatto a scappare. Sapete… le mie spie sono molto efficienti.”
Fata Parlina, sempre lei, parlò per tutte.
“Una forza dall’esterno è penetrata…”

La regina allungò il braccio e ripeté la formula magica.

“Giacomo (?)! Giacomo, c’è zia Titta al telefono, dai che spende troppo.”
J, il bambino sottile

Ciao Ric,
è molto tempo che non ti scrivo. Va tutto bene. Qui la scuola inizia il 14. Da te quando? Non crederai mai a quello che mi è successo. Ti ricordi la prima estate che ci siamo conosciuti? Eravamo al mare. E ti ricordi anche che c'era un bambino, piccolo piccolo, magro magro e che lo prendevamo in giro? Ti sei perso un'estate con i fiocchi. Fiocchi? Scintille! Quel bimbo è tornato in vacanza qui, quest'anno. Sì. Hai quasi indovinato: abbiamo fatto amicizia. Devi essere contento: potremmo essere in "tre migliori amici". Veramente. Non crederai alle mie parole.
Un giorno m'ha portato a casa sua. Incredibile. Avresti dovuto vedere!! Fa dei quadri... sono incredibilissimi. Ah, mi sono dimenticato di dirti che si chiama J. J non è il suo nome vero ma tutti lo chiamano così, non so perché. Dicevo... sono andato a casa sua. Ho visto i quadri che fa: stupendosi! Siamo anche andati in cantina. "È piena di roba" mi diceva.
Era buio nelle scale. Quando ho acceso la luce Wow!: scatole, lampade, polvere, polvere e quante ragnatele! E ferri, bastoni, vecchi quadri, specchi, armadi, alberi. Sì , c’erano anche quelli, e chili e chili di bottiglie rotte, catene, corde, stivali e una collezione di cucù e delle radio vecchie vecchie. Non credo di aver visto tutto! Eppure ci abbiamo passato molti pomeriggi a tirar fuori, sfogliar libri e riviste vecchie e una volta abbiamo scoperto una tela tutta nera ,con una bella cornice, dietro ad un armadio . J ha detto subito "ci dipingo io, ci farò un bel quadro"
Sapessi che fatica a tirarlo fuori. Una coca era quello che ci voleva. L'abbiamo portato fin nella sua camera.
Il giorno dopo sono tornato e ho trovato J che saltava e rideva "vieni vieni! Vieni a vedere iuhu!"
Incredibile. Al posto di una tela nera ,c'era un quadro bellissimo. Si, immagino cosa pensi, anch'io ho pensato che l'avesse fatto in una sola notte. J mi ha raccontato che mentre stava pulendo e preparando la tela per il suo lavoro, si è accorto che il colore non rimaneva sulla tela ma copriva quello che c'era sotto.
Tutto funzionava al contrario...
Andrea arrivò da J tutto contento "ho scritto a Ric, ti ricordi di Ric? gli ho raccontato quello che è successo con il quadro.
Spero che non ti dispiaccia".
J, al contrario del giorno prima, non saltellava di contentezza. Si appo

tetikali - 14:12 - 0 commenti - commentainizio

{ lunedì 22 settembre 2008 }

un libro semplice, 2

Ber lo scrittore –Prima Parte

Anche se qualcuno non ci crede, oggi, il vecchio Ber fu per molti anni uno fra i migliori scrittori di storie per ragazzi del paese.
Smise di scrivere del tutto pochi anni fa, dopo una lenta agonia.
Cominciò con una piccola pausa di un paio d’anni, poi riprese con un misero tentativo giallo e, subito dopo, ricominciò con i ragazzi finché, presto, cominciò a dare segni di squilibrio. Cominciò a bere. E bere con la B maiuscola.
È vero, ora rimane del vecchio scrittore solamente una larva alcolizzata ma, credetemi, una volta era un genio della penna.

L'inizio di tutto fu la fine dell'ultimo giorno di pace che ebbe.

Quando questo finì, alle sei di mattina, squillò il telefono.
Era un banale errore, un numero sbagliato e visto che ci si trovava, Ber decise che sarebbe rimasto alzato nonostante la sveglia sarebbe suonata alle otto, nonostante avesse bisogno di tutte le sue ore, nonostante tutto convenne che sarebbero state due ore di sonno cattivo.
Avrebbe stretto i denti e tirato avanti quel giorno.
"Ma si figuri, può succedere a chiunque di sbagliare, buon giorno", maledetta -clic.
Si trascinò come zombi in bagno. Si preparò il caffè. Profumo di moka: stimola visioni lontane, quasi sognanti.

"Ahuu!"

Si bruciò con la caffettiera, non trovava la cremina, lo zucchero all'aria e per poco non scivolò sulla pipì del gatto. Sì, aveva un gatto.
Un bel respiro.
Niente visioni sognanti, tutto da capo.

Ore otto.
La vestaglia grigio-cappotto, la scrivania legno, la macchina da scrivere.
Campanello, "chi può essere a quest'ora! Lo sanno, c'è il cartello non disturbare fino...”
"Dilin dilon!"
“Osceno” ha sempre pensato.
Il suo corpo pesante si staccò dalla sua sedia, scomoda, da lavoro.
"Buongiorno, mi scusi per l'ora"
"Non lo vede il cartello “non disturbare”? Chi è lei!!?"
"No, signore, non vedo nessun cartello, permette? -si fece strada in casa come una volpe- sono un impiegato delle Poste"
"Dunque?!"
L'impiegato in silenzio totale si guardò intorno, perlustrò la casa.
“(come si permette, disturba, fa il suo comodo...) Allora, cosa desiderano le Poste, da me, a quest'ora?"
"Ah, mi scusi, niente di particolare, solo questo: è urgente"
("... un telegramma, urgente, chi può essere...")
"Bene! Grazie senta... è strano ma... desidera un caffè?"
"Beh -controllò l'orologio- avrei... ma sì, un caffè; però, se permette, lo preparo io. So che sono un po' invadente. …suvvia, per farmi perdonare..."
"E’ assurdo, glielo stavo per chiedere ma... per un altro motivo. Si accomodi, di qua"
"Grazie"
Comodi e rilassati, per quanto Ber si fosse potuto rilassare, sul divano, l'impiegato proruppe dopo un silenzio di minuti.
"Lei, dunque, è un famoso scrittore!?"
“Credo di fare al meglio il mio lavoro come lei fa il suo"
"Vengo al punto, coltivo da tempo il desiderio di scrivere. Come lei, cioè come lei è probabile che no, ma lo stesso genere, più o meno"
Ber era già pentito di aver venduto generosità per un po' di caffè sognante, che sognante non si mostrò per la vicinanza di un altro essere.
"Ho qui per caso questo racconto, non si preoccupi... cioè, dirò che ho avuto un piccolo guasto al motociclo"
"Avrebbe intenzione di leggerlo adesso? E… senta, non credo sia igienico che lei approfitti ancora della cortesia concessale, sono quasi le nove e starei cercando di lavorare"
"Ho capito, glielo lascio -chi crede che Ber non abbia ringraziato col pensiero?- non c'è problema -e che non l'abbia spinto lentamente verso la porta?- si ricordi di leggere il racconto di Giacomo. Giacomo! Si ricordi di me. Arrivederci"

"Sii! Finalmente"

Finì di leggere il caffè e magari di bere il telegramma.

Terminando il caffè, si ricordò che non aveva ancora letto il telegramma.

"Arrivo stazione treno 11 e 24 oggi. Anto"

Si riprese dopo qualche minuto, dalla poltrona dei sogni del caffè, stavano suonando le nove.

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…Calimero…

... si racconta che tanti anni fa, nel 2009, si verificarono dei furti molto particolari.
Sembra che ogni singolo furto avvenisse tra le 11 e 42 e le 11 e 54 di mattina; sotto il sole cocente, sotto gli occhi dormiglioni di tutti.
Gli oggetti spariti erano i più disparati: orologi di plastica, valori un po' più consistenti, come batterie di pentole firmate e anche angoli di letto in gommapiuma.
I gendarmi erano spiazzati: non trovando un collegamento logico tra le sparizioni, non riuscivano a farsi un'idea del soggetto. O dei soggetti.
Un'ipotesi finiva come una lampadina bruciata: tuc! E poi silenzio, nuova luce, tuc e buio, la lampadina, sempre più fioca e...
…ogni volta in mano rimaneva l'idea soffiata di un'ombra bianca.
"Cosa se ne fanno di queste cose -si domandavano gli agenti in silenzio, negli angolini degli uffici- solo un malato agisce così... -a meno...- a meno che non ci stiano prendendo in giro. E magari serve come diversivo."
Qualcuno si stava convincendo, veramente, che il grande colpo sarebbe avvenuto in maniera talmente invisibile, da succedere al posto di uno sbadiglio.
"... dunque un genio, un genio del crimine... intendo."
Il capitano dei gendarmi, durante quella riunione, affermò forse, qualcosa che si avvicinava ad una ipotetica verità. Il capitano non lo sapeva e ricevette il plauso di tutti.
Tutto questo non risolveva il problema.
Le ore seguivano ferme, i giorni si moltiplicavano con capriole e i mesi si ammonticchiavano sterili senza alcun indizio.
Vocette di corridoio indicavano il tipo arrivato in città da poco, come lo straniero che avrebbe risolto il caso.
Non era difficile additarlo, non sopportarlo, semplicemente notarlo. Nessuno in città indossava, almeno contemporaneamente, vestiti neri e cappello bianco. Rappresentava il classico esempio di agente in incognito, visibile da dieci chilometri di distanza. La gente diceva "disturbato toccato fissato..." e, giusto per le chiacchiere, "sì! E’ lui."
Appariva davvero buffo e inoffensivo, si faceva passare per Calimero e tutti sapevano che Calimero non valesse un gran che. Era forse questo il travestimento dello straniero? Non fu dato mai rispondere a questo, ma a tal considerazione, giunsero i più alti funzionari della Gendarmeria.
Era nel pieno dell'Opera: si appostava giornate intere dietro angoli inaspettati. "O è scemo o è un genio"... commentava la maggior parte dei gendarmi ma, osservandolo bene, si rendeva conto di quello che stesse facendo: i suoi movimenti erano quelli di uno che sa quello che deve fare.
Intanto la poesia dell'odore dei biscotti al cioccolato aleggiava sicura.
Nuovi stranieri stavano arrivando in città. "Sarà una squadra speciale venuta ad aiutare Calimero". Così sembrava, almeno in apparenza: i grigi stranieri si comportavano in maniera strana. Calimero sapeva. Calimero fece finta di niente. Calimero agiva come indisturbato ma così non era. Calimero era realmente contrastato.
"Ce l'hanno con lui o non vogliono che il caso sia risolto?"
Calimero era l'unico a poterlo risolvere e i Grigi sembravano i soli a poter fermare Calimero.
Alcune risposte cominciarono ad arrivare la notte in cui una impensabile figura… riuscì a spogliare Calimero e più che a dare delle risposte, questo evento, apriva un ventaglio di altre domande.
Fino ad allora non importava a nessuno chi fosse in realtà, ma il fatto che lo volessero come... smascherare, cambiava tutto.
"Chi è Calimero in realtà?! Chi è il buono in questa delicata faccenda?!"
La popolazione venne a sapere la vera identità di Calimero o meglio, il suo nome che ancora non suggeriva chi fosse. Il suo nome rimbalzava dalle bocche ai giornali e dai giornali alle botteghe del centro:

tetikali - 14:45 - 3 commenti - commentainizio

{ domenica 21 settembre 2008 }

Un libro semplice...

Un libro semplice

2008

Dichiarazioni senza Appello

Adoro tutte le Azzurre

Mi piacciono le parole: Eskimo, Gindobre, KaKosi, Baritonale…

Mi piace il rumore del piede sulla neve

Mi piacciono i nomi: Djamel e Joshua

Mi piace il rumore della terra spalata, l’odore dei cantieri edili e dei binari del treno

Non mi piace la nebbia che mi fa venire il mal di testa

Non mi piacciono gli scatti d’ira e ancor più gli scatti di autocontrollo

Ho paura dei mezzi di trasporto specialmente se hanno meno di quattro ruote

Ho terrore dell’acqua del lago e del Bianco

Da piccolo identificavo la Colpa come una polpetta verde

Credevo che lo scrupolo fosse un pezzo di intestino e che il popolo fosse la palla ovale portata sulla spalla, vicino all’orecchio

PS:
mi piacciono le nespole

A Martika e ad Aleena
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Seconda di Alice

Alice ricevette la sua prima penna “buona” per il nono compleanno.
Corse in camera e tornò subito indietro: doveva ringraziare; l’aveva già fatto, ma aveva desiderato quella penna così tanto che non le sembrava mai abbastanza farlo. Una volta sola non era sufficiente.

Riuscì a chiudersi in camera e liberare il potere magico della penna.
Disegnò la copertina, nascondendosi da fantasiosi occhi-spia, e poi, stanchissima s’addormentò.

Quella notte Alice la ricorda come la notte più felice della sua vita.
Fu così anche perché quella notte sognò di scrivere il suo libro.
Il fatto interessante fu che quando si svegliò il libro era veramente scritto: quella fu la mattina più bella della vita di Alice.

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Giacomo -Prima Parte

Giacomo dette la tovaglia alla mamma gonfiando il petto, per dare forma solenne a quel gesto. Il sorriso della mamma fece abbassare gli occhi di Giacomo e lo riempì di serenità.
Accennò un sorriso anche lui, appena appena.
Il naso di Giacomo era curvo, verso destra, ma così curvo e grosso!
Si vergognava del suo naso e andava male a scuola, ci andava mal volentieri. Studiava tantissimo, ma quando era interrogato, abbassava la testa e prendeva brutti voti. Nelle prove scritte andava bene: testa bassa, rispondeva bene alle domande; prendeva sempre 10 ma non bastava mai o quasi.
Subiva i risolini dei compagni e correva a casa piangendo.
Soltanto il tenero sorriso comprensivo della madre riusciva a calmare il povero Giacomo.
Anche dopo aver consegnato la tovaglia: si sentiva cullato da un abbraccio invisibile.
Si fece baciare sulla gota, quella libera dal naso e andò in salotto “ricorda che è quasi pronto”.
Sapeva bene la mamma cosa stesse per fare Giacomo.

Partì come un treno velocissimo. Raggiunse il suo posto di comando e buonanotte.
Alzò la testa dal suo banco di lavoro e sentì un profumo strano: non era quello del pranzo, era lo stesso che aveva sentito dal fioraio, l’anno prima, con zia Ceci, per ordinare i fiori del funerale di Nonnasetta.
.
Rimase stordito per un po’ e impaurito: la mamma non l’aveva ancora chiamato a mangiare.
Si alzò, si girò e scoprì di essere nel giardino più bello del mondo.
Giacomo non trovò motivo di preoccuparsi ulteriormente.
S’incamminò. Accarezzava una rosa a destra e tre margherite di là che, al tatto, cambiavano colore. Continuò a conoscere fiori e piante delle più meravigliose e di ogni specie, di ogni angolo di mondo, finché il buio non sopraggiunse veloce.
Anche se Giacomo non vedeva più le piante e i fiori, riusciva a percepirne le presenze a causa degl’intensi odori.
Presto il buio scese anche su Giacomo finché gli fu impossibile vedere se stesso. Buio più buio. Riusciva a vedere attraverso se stesso: buio.
Proseguì a camminare sorridendo anche se il timido, tenero sorriso non si vedeva. Poi sempre più veloce... e rideva correndo, più veloce...

Si fermò, all’improvviso, davanti ad un albero: allungò una mano e lo toccò e quello diventò come di cristallo. Ritrasse la mano e l’albero si frantumò in tantissimi pezzettini che assomigliavano alle goccioline delle onde sugli scogli. Il buio si illuminò. Tutti i pezzettini non caddero e continuarono a galleggiare davanti a lui come farfalle splendenti.
Giacomo si sentì sollevare lentissimamente: erano le farfalle fatate.
Durante il volo alcune di loro spiegarono in coro al passeggero cosa fosse successo loro in realtà.
Non riusciva a credere alle sue orecchie e neanche ai suoi occhi.
Ascoltava a bocca aperta e guardava impietrito.

“Mamma! –sussultò- ho liberato le fate dal sortilegio della Strega di Tramontana!”
“Vai a lavarti le mani, Giacomo, che è pronto in tavola”.

L'uomo che non crede alle favole

C'era una volta un prato, neanche bello, dove tutti andavano ad arrostire la Metta.
Quando arrivò il tempo delle città, quel brutto prato, fu uno dei primi ad essere stato sostituito con cemento e asfalto...
Al tempo delle città, nessuno arrostiva più la Metta, nessuno arrostiva più.
Si dice che andasse di moda un ballo che aveva solo quattro passi e tutti ne andavano matti, ma nessuno stava cercando un altro prato, nessuno arrostiva più.
Dove una volta c'era il brutto prato della Metta, costruirono una piazza, ai quali lati, sorgevano palazzi, un tempio religioso, una farmacia, un grande mercato al coperto e una banca.

In uno di questi angoli, per molti anni, ogni giorno stava sempre un signore.
A guardarlo sarebbe sembrato un uomo senza una casa e che avrebbe dormito dove avesse trovato un angolino sicuro. A parlarci o a sentirlo parlare, si sarebbe cambiato sicuramente idea: un Signore, un gran Signore.
I suoi racconti trasportavano gli ascoltatori verso angoli del mondo sconosciuti, favolosi.
Nessuno seppe di lui, se avesse avuto la casa o no, o una rendita... tutto ciò che si sapeva di lui si trovava tra le sue parole.
Arrivava in quella piazza intorno alle nove, dopo essere andato in giro fin dalle sei, con un bastone e un quotidiano, anche se forse non lo cambiava tutti giorni. Si metteva seduto a leggere, ma soprattutto, specialmente quando non aveva "avventori", passava ore a contemplare il cielo; il suo sguardo era veramente lontano. Interrompeva i suoi passatempi appena un bambino gli tirava il cappotto e allora... allora il cielo sembrava prendere altri colori, i pochi alberi facevano un altro rumore e gli occhi dei bimbi diventavano grandi il doppio, per non parlare di quelli degli adulti!
Nessuno di questi chiese mai di raccontare qualcosa; tranne uno.

Capitò una volta un giovane uomo un po' altezzoso uscito dalla banca, lo ascoltò per un'ora intera e si rivolse all'anziano: "Non raccontare favole, non abbiamo bisogno di questo. E io che ho sprecato un'ora della mia vita!"
Mentre stava andando via, il Signore rispose con voce ferma e sicura, quasi tuonante: "Queste non sono favole. Io... non credo alle favole"

Arrivarono presto le sei e si ritirò, come al solito, per la stessa strada; direzione: fuori città, verso la campagna.
Ottimo camminatore.

Nessuno di voi ha mai sentito parlare di quell'uomo e tanto meno ha potuto conoscerlo, ma l'unico adulto che ha osato chiedergli -direttamente- qualcosa, è proprio chi vi sta raccontando questa storia. Ho avuto veramente questa fortuna.
Non chiedete il suo nome, non lo ha detto nemmeno a me, diceva che non era importante e che invece due lo fossero davvero: una riguarda il perché sto raccontando e l’altra è, che da quando nessuno arrostisce più la Metta, nel brutto prato, tutti sono molto più tristi.

tetikali - 22:38 - 4 commenti - commentainizio

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