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{ domenica 28 settembre 2008 }

un libro semplice...

Giacomo –Parte Quarta
C'è stato un tempo, chiamato "Pace di 100 Anni", in cui, ristabilita la pace dopo la “Guerra dei vènti”, ogni Regno era deciso e convinto a non muovere alcuna battaglia di conquista.
Il mondo delle fate ha sempre ciclicamente subìto guerre da uno dei Quattro Regni, per avere l'egemonia totale.
L'ultima guerra prima della "Pace", duratane almeno 300, sembrava essere quella del Compimento, quella che avrebbe zittito ogni brama di potere assoluto.
In realtà una nuova concezione di guerra era cominciata. Non era mai successo prima.
Una fata della Luce, o del Giorno, improvvisamente scomparve. Una delegazione della Luce viaggiò per tutto il Mondo, nel tentativo di trovarla. Inutilmente.
Ogni risposta era un no, sicuro, sincero, diretto. Ogni no era accompagnato da un'offerta di ristoro fra i pollini astrali e di rifornimento di idromele in quantità sovrabbondanti: "Per il viaggio, Sorelle" dicevano in ogni Villaggio, in ogni Regno.
Si fermarono in ogni villaggio di ogni regno. La ricerca durò 98 anni. Sebbene il mondo delle fate, non fosse così apparentemente sconfinato, non era facile tenere il conto dei villaggi a causa delle perturbazioni spaziotemporali.
Tali perturbazioni facevano spostare nel tempo e nello spazio, di un regno, ogni villaggio e talvolta anche i singoli regni subivano spostamenti radicali. Il problema non era delle fate della Luce, a riconoscere un villaggio già visitato: la grande difficoltà si presentava poiché ad ogni spostamento, le fate e i villaggi apparivano sempre diversi, oltre che in luoghi diversi: essendosi quindi spostati nel tempo, futuro o passato, non potevano ricordare della vista della Luce.
Quando la delegazione tornò nel proprio Regno, rallentata dal carico di idromele, fu accolta dalle fate rimaste, con grande felicità, anche se, subito, un'ombra sui visi si posò a dir notizia funesta.
Qualche anno prima, era passata per il villaggio più vicino al castello del Regno, una vecchina: costei andava raccontando di grandi disgrazie.
Motivo di preoccupazione, non era tanto la notizia della disgrazia a venire, tanto le espressioni e gli occhi della vecchia nell' osservare l'effetto della notizia di sventura sui visi delle fate residenti.
Lei parlava, lei osservava, tutte osservavano la vecchia.
Dopo mesi e mesi di questi sguardi, che si rimandavano da un viso all'altro, si capì che la fata vecchia, venuta da lontano, era solo una provocazione voluta da una Regina misteriosa, mai conosciuta.
Solamente quando era troppo tardi, si svelò a quale Regno appartenesse la Regina.
A complicare le cose era il fatto che la Regina non apparteneva al Regno bensì questo era stato assoggettato. Fu facile pensare che fosse quello di Tramontana.
Addirittura, qualche voce di fuori alitava che tale Regina fosse dotata di una forza superiore all'intero Regno.
La forza era dovuta all'aver abbandonato il Regno naturale ed aver preso le ridimi di un altro, quello ritenuto da tutti, più debole dei Quattro.
Tramontana non partecipò mai alla guerra contro gli altri regni. Di volta in volta provava solo a difendersi dagli attacchi esterni e veniva, puntualmente, colonizzata dalle fate guerriere degli altri Regni.
Soltanto una fata della Luce conosce i profondi segreti della Luce e solo conoscendoli, una fata che ha rinnegato la propria Natura, avrebbe potuto fare un incantesimo per bloccare efficacemente le fate della Luce.
Ber lo scrittore –Parte Terza

Pensò alle parole di Anto. Era infuriato quando le pronunciò. Ma ora, con più calma, non gli parvero così fuori luogo. Alzò le spalle e si rimise a lavoro. “Steng” il gran trambusto si fermò alla prima lettera. “Claaaax! Cla-cla-claaaa-xooooon!”
L’auto fu implacabile. Erano quasi le tre, incredibilmente in orario, addirittura.
Il corpo di Ber era sempre più pesante. Andò alla porta. “Va bene –gridò composto- tutto a posto? Bene”. Dall’abitacolo i gesti della faccia erano inequivocabili.
Ber chiuse la porta con lo sguardo al pavimento “vabbeh”. Un sospiro e tornò alla scrivania.
“Uff… bagno”.
Pensava a quella situazione imbarazzante con Anto: “Cosa vuole questa volta”. I pensieri e le immagini si mischiavano nella sua mente: qualche spintone e poi un vortice che lo riportò all’inizio…
Il tempo passava velocemente.
“Spam, span, spatum, tuum. Buon giorno Ber, c’è da mangiare?”
Ber si girò lentamente come se avesse il cemento nelle ossa: “qual coraggio. Buongiorno, anzi buon pomeriggio, direi. Guarda”.
L’orologio a pendolo parlava chiaro, un quarto alle quattro. “Beh, -con un mezzo sorriso- mi sono appoggiato un attimo… hai già mangiato?”
“Si –rispose Ber rassegnato- non ti ho voluto svegliare. La cucina… -indicò- il frigo… lasciami lavorare un po’. Grazie Anto. Parleremo dopo”.
“Veramente io… vorrei…” tentò Anto.
“Ho-detto… a-ce-na!” scandì definitivamente Ber.
“Mi facci(o una doccia e poi un boccone. Lavora in pace. Ma sempre a scrivere. È una pena, una volta eri diverso…)”
Anto aggiunse anche questo, visto che finì la frase tra il bisbiglio e il suo pensiero.
Girò con leggera piroetta su se stesso, sperando di essere notato da Ber e sperando di spillargli un sorrisino. Fu inutile. Ber era intento al suo lavoro, o almeno sembrava. La sua grossa schiena non lasciava dubbi: era curva al punto giusto.
Era concentrato Ber, ma su altri pensieri. Nuove vorticose immagini si allungavano elastiche nella sua mente: fiori in giardini sospesi con visitatori impensati; isole scomparse all’insaputa degli abitanti; un oscuro signore che costruisce un grande libro: “Cosa ci scriverà! È un libro prezioso, dalla copertina arzigogolata, realizzata con svariati materiali. L’uomo ha un cappello grande, così particolare, cosa ci scriverà!
Giacomo Fusini, aveva deciso di chiamarlo così, rischiava di non trovare alcun manoscritto, di non incontrare la vecchia e rischiava anche di non avere gli occhi dalla luce…
Era rapito da questa figura tra ombre di luci fioche in un laboratorio, avrebbe detto, che pazientemente costruisce un grande libro. Avrebbe somigliato, si suggeriva, alla costruzione del libro del…
Il suo pensiero discorsivo, con se stesso, si interruppe prima della parola che avrebbe detto, alzò la testa, gli occhi spalancati e la bocca secca: “DES-TI-NO”.
“Puoi parlare adesso? Dai, concediti una pausa”
Ber si riprese di soprassalto: “Si. Parliamo.”
Era inutile, in quel momento. Aveva bisogno di chiarimenti. Era confuso e senza la testa sgombra non riusciva a concentrarsi.
“Di cosa hai bisogno questa volta? Tu mi sei molto caro, lo sai, ma ogni volta che ti riavvicini alla mia vita, sento di rischiare qualche pasticcio. Per quanto non neghi il mio passato, ora è abbastanza passato da essere, non dimenticato, ma non essere appunto così presente”. Ber si limitò a girarsi dalla scrivania e seguire con gli occhi i movimenti, un po’ frettolosi e goffi di Anto, indaffarato in cucina, davanti al frigo.
“Niente di speciale, mi sono ritrovato con qualche giorno libero e ho pensato “è tanto che manco, vado a fare una visitina? Vado!” ed eccomi qua”.
“Non credo a quello che dici, giorni liberi? Tu? Libero da cosa? Tu non lavori. Vent’anni fa lavoravi, quando tirasti fuori quel lavoro geniale su quell’isola bianca. E poi? Gli allori nella testa, si, proprio dentro, gli allori marciscono come marciscono le rose, amico. Non hai prodotto più niente se non… cosa? Pubblicità, spettacoli e pur scadenti? Vivi dei diritti che ti arrivano, appena sufficienti per i tuoi bisogni, e poi quali! Trombe squillate! Anto è uscito dalla sbronza mattutina alle… che ore sono? Ecco, alle 5 passate il Signore ha smaltito la sbronza. Ma ecco, come potete notare, il Signore si sta preparando per riscaldarla bene! Anto, cosa vuoi!”
“Non avrei mai voluto dirtelo, ora il dubbio che

tetikali - 21:18

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