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categoria: Poesie

Il Silenzio

Conosco una città
che ogni giorno s’empie di sole
e tutto è rapito in quel momento

Me ne sono andato una sera

Nel cuore durava il limio
delle cicale

Dal bastimento
verniciato di bianco
ho visto
la mia città sparire
lasciando
un poco
un abbraccio di lumi nell’aria torbida
sospesi

Giuseppe Ungaretti

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categoria: Poesie

Pescia-Lucca


Ho vissuto
nelle città più dolci della terra
come una rondine passeggera.
Lucca era
un nido difficile tra le vigne
impolverate, in fondo a bianche strade,
donde sarebbe traboccata
con ali troppo folli
pe' tuoi cieli molli, Toscana,
antica giovinezza.
Malcerta ebbrezza, malcelata infanzia
lungo le case di Lunata
sfiorate in un tram accanto al guidatore,
la morte è questa
occhiata fissa ai tuoi cortili
che una dice sorpresa
facendosi solecchio dalla soglia:
e' nata primavera,
sono tornate le rondini.

Piero Bigongiari - tratto da Le mura di Pistoia

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categoria: Poesie

Sul campo aperto giuocano al pallone


Sul campo aperto giuocano al pallone.
Il sole ora l'investe ora li lascia.
La camera d'albergo è del mio corpo
nudo agli specchi. E sconosciuta
e' la citta'.

Sandro Penna - tratto da Croce e delizia

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categoria: Poesie

Freddissima resurrezione


Freddissima resurrezione, da
anni non è cosi: sui bastioni stenta,
torna clandestina la novita'
delle gemme, un'immensa, macilenta

spoglia dilaga, copre la citta'
anche se già il crepuscolo s'inventa
con loschi bagliori un'eternita'
senza gloria. Non più della perenta

pelle in cui vive, da cui sguscera'
per vivere la serpe è questo niente
che ci separa, aria da foglie, gente

che aspetta pallidamente di qua
e di là d'una lapide, i non morti
ancora dai non ancora risorti.

Giovanni Raboni - tratto da Ogni terzo pensiero

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categoria: Poesie

Sogno d'estate

Sognai, placide cose de' miei novelli anni sognai.

non più libri: la stanza da'l sole di luglio affocata,

rintronata da i carri rotolanti su 'l ciottolato

da la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli,

cari selvaggi colli che il giovane april rifioria.

Giosuè Carducci

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categoria: Poesie

Un'alba


Com'e' spoglia la luna, è quasi l'alba.
Si staccano i convogli, nella piazza
bruna di terra il verde dei giardini
trema d'autunno nei cancelli.
E' l'ora fioca in cui s'incide al freddo
la tua città deserta, appena un trotto
remoto di cavallo, l'attacchino
sposta dolce la scala lungo i muri
in un fruscio di carta.
La tua stanza
leggera come il sonno sarà nuova
e in un parato da campagna al sole
roseo d'autunno s'aprira'.
La fredda
banchina dei mercati odora d'erba.
La porta verde della chiesa è il mare.

Alfonso Gatto - tratto da Arie e Ricordi

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categoria: Poesie

La catasta dei ruderi arancione


La catasta dei ruderi arancione
che la notte con il fresco colore
del tartaro infanga, dei bastioni
di leggera pomice, erborei,
monta nel cielo: e più vuote
sotto, le Terme di Caracalla al bruciore
della luna spalancano l'immoto
bruno dei prati senza erbe, dei pesti
rovi: tutto svapora e si fa fioco
tra colonnati di caravaggesca polvere,
e ventagli di magnesio,
che il cerchietto della luna campestre
scolpisce in fumate iridescenti.
Da quel grande cielo, ombre grevi,
scendono i clienti, soldati pugliesi
o lombardi, o giovincelli di Trastevere,
isolati, a bande, e nel basso piazzale
sostano dove le donne, arse e lievi
come stracci scossi dall'aria serale,
rosseggiano, urlando - quale bambina
sordida, quale innocente vecchia, e quale
madre: e in cuore alla città che vicina
preme con raschi di tram e groppi
di luci, aizzano, nella loro Caina,
i calzoni duri di polvere che si spingono,
capricicosi, agli sprezzanti galoppi
sopra rifiuti e livide rugiade.

Pier Paolo Pasolini - tratto da La religione del mio tempo

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categoria: Poesie

La Fiera

Non ricordi la turbinante fiera?
I pagliacci e la giostra coi lumini?
Tutto fu bello, musica e lustrini,
solo al ritorno nella buia sera.

Tu pedalavi vaporosa in avanti,
ed io a volo dietro il tuo cappello,
come in un delizioso carosello
mosso da Dio sol per noi amanti.

Sull’erba della darsena intrecciammo
le nostre impolverate biciclette
come in gelosa lotta due caprette.
Sul loro esempio, muti, ci avvinghiammo.

E quando entrammo a piedi dalla porta
tra gli sguardi dei pochi curiosi
composti e seri come vecchi sposi,
la città non mi parve più così morta.

I baci nella sera freddolina
riscaldato mi avevano d’amore,
dandomi dei sussulti dolci al cuore
come quei colpi, là, di carabina.

Ed io ti vedevo in un barbaglio,
per effetto dei tuoi baci brucianti,
sotto le stelle, strane e doloranti,
come le bianche pipe del bersaglio.

Corrado Govoni

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categoria: Poesie

Pensieri di Deola


Deola passa il mattino seduta al caffè
e nessuno la guarda. A quest'ora in città corron tutti
sotto il sole ancor fresco dell'alba. Non cerca nessuno
neanche Deola, ma fuma pacata e respira il mattino.
Fin che è stata in pensione, ha dovuto dormire a quest'ora
per rifarsi le forze: la stuoia sul letto
la sporcavano con le scarpacce soldati e operai,
i clienti che fiaccan la schiena. Ma, sole, è diverso:
si può fare un lavoro più fine, con poca fatica.
Il signore di ieri, svegliandola presto,
l'ha baciata e condotta (mi fermerei, cara,
a Torino con te, se potessi) con sè alla stazione
a augurargli huon viaggio.

E' intontita ma fresca stavolta,
e le piace esser libera, Deola, e bere il suo latte
e mangiare brioches. Stamattina è una mezza signora
e, se guarda i passanti, fa solo per non annoiarsi.
A quesr'ora in pensione si dorme e c'è puzzo di chiuso
- la padrona va a spasso - è da stupide stare lì dentro.
Per girare la sera i locali, ci vuole presenza
e in pensione, a trent'anni, quel po' che ne resta, si è perso.

Deola siede mostrando il profilo a uno specchio
e si guarda nel fresco del vetro. Un po' pallida in faccia:
non è il fumo che stagni. Corruga le ciglia.
Ci vorrebbe la voglia che aveva Marì, per durare
in pensione (perché, cara donna, gli uomini
vengon qui per cavarsi capricci che non glieli toglie
nè la moglie nè l'innamorata) e Marì lavorava
instancabile, piena di brio e godeva salute.
I passanti davanti al caffè non distraggono Deola
che lavora soltanto la sera, con lente conquiste
nella musica del suo locale. Gettando le occhiate
a un cliente o cercandogli il piede, le piaccion le orchestre
che la fanno parere un'attrice alla scena d'amore
con un giovane ricco. Le basta un cliente
ogni sera e ha da vivere. (Forse il signore di ieri
mi portava davvero con sè). Stare sola, se vuole,
al mattino, e sedere al caffè. Non cercare nessuno.

Cesare Pavese

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categoria: Poesie

Poesie mondane

Ci vediamo in proiezione, ed ecco
la città, in una sua povera ora nuda,
terrificante come ogni nudità.
Terra incendiata il cui incendio
spento stasera o da millenni,
è una cerchia infinita di ruderi rosa,
carboni e ossa biancheggianti, impalcature
dilavate dall'acqua e poi bruciate
da nuovo sole. La radiosa Appia
che formicola di migliaia di insetti
- gli uomini d'oggi - i neorealistici
ossessi delle Cronache in volgare.
Poi compare Testaccio, in quella luce
di miele proiettata sulla terra
dall'oltretomba. Forse è scoppiata,
la Bomba, fuori dalla mia coscienza.
Anzi, è così certamente. E la fine
del Mondo è già accaduta: una cosa
muta, calata nel controluce del crepuscolo.
Ombra, chi opera in questa èra.
Ah, sacro Novecento, regione dell'anima
in cui l'Apocalisse è un vecchio evento!
Il Pontormo con un operatore
meticoloso, ha disposto cantoni
di case giallastre, a tagliare
questa luce friabile e molle,
che dal cielo giallo si fa marrone
impolverato d'oro sul mondo cittadino...
e come piante senza radice, case e uomini,
creano solo muti monumenti di luce
e d'ombra, in movimento: perché
la loro morte è nel loro moto.
Vanno, come senza alcuna colonna sonora,
automobili e camion, sotto gli archi,
sull 'asfalto, contro il gasometro,
nell'ora, d'oro, di Hiroshima,
dopo vent'anni, sempre più dentro
in quella loro morte gesticolante: e io
ritardatario sulla morte, in anticipo
sulla vita vera, bevo l'incubo
della luce come un vino smagliante.
Nazione senza speranze! L'Apocalisse
esploso fuori dalle coscienze
nella malinconia dell'Italia dei Manieristi,
ha ucciso tutti: guardateli - ombre
grondanti d'oro nell'oro dell'agonia.

Pier Paolo Pasolini

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categoria: Poesie

Via


Palazzeschi, eravamo tre,
Noi due e l'amica ironia,
A braccetto per quella via
Cosi nostra alle ventitre'.

Il nome, chi lo ricorda?
Dalle parti di San Gervasio;
Silvio Pellico o Metastasio;
C'era sull'angolo in blu.

Mi ricordo pero' del resto:
L'ombra d'oro sulle facciate,
Qualche raggio nelle vetrate;
Agiatezza e onorabilita'.

Tutto nuovo, le lastre azzurre
Del marciapiede annaffiato,
Le persiane verdi, il selciato,
I lampioni color caffe';

Giardinetti disinfettati,
Canarini ai secondi piani,
Droghieri, barbieri, ortolani,
Un signore che guardava in su;

Un altro seduto al balcone,
Calvo, che leggeva il giornale,
Tra i gerani del davanzale
Una bambinaia col be'be';

Un fiacchere fermo a una porta
Col fiaccheraio assopito,
Un can barbone fiorito
Di seta, che ci annuso';

Un sottotenente lucente,
Bello sulla bicicletta,
Monocolo e sigaretta,
Due preti, una vecchia, un lacche'.

- Che bella vita - dicesti -
Ammogliati, una decorazione,
Qui tra queste brave persone,
I modelli della citta'.

Che bella vita, fratello! -
E io sarei stato d'accordo;
Ma un organetto un po' sordo
Si mise a cantare: Ohi Mari...

E fummo quattro oramai
A braccetto per quella via.
Peccato! La malinconia
S'era invitata da se'.

Ardengo Soffici - tratto da Intermezzo

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categoria: Poesie

I limoni

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall' azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell' aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest' odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l' odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s' abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l' anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità
Lo sguardo fruga d' intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità

Ma l' illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l' azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s' affolta
il tedio dell' inverno sulle case,
la luce si fa avara - amara l' anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d' oro della solarità.

Eugenio Montale

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categoria: Poesie

Fumatori di carta


Mi ha condotto a sentir la sua banda. Si siede in un angolo
e imbocca il clarino. Comincia un baccano d'inferno.
Fuori, un vento furioso e gli schiaffi, tra i lampi,
della pioggia fan si che la luce vien tolta,
ogni cinque minuti. Nel buio, le facce
danno dentro stravolte, a suonare a memoria
un ballabile. Energico, il povero amico
tiene tutti, dal fondo. E il clarino si torce,
rompe il chiasso sonoro, s'inoltra, si sfoga
come un'anima sola, in un secco silenzio.

Questi poveri ottoni son troppo sovente ammaccati:
contadine le mani che stringono i tasti,
e le fronti, caparbie, che guardano appena da terra.
Miserabile sangue fiaccato, estenuato
dalle troppe fatiche, si sente muggire
nelle note e l'amico li guida a fatica,
lui che ha mani indurite a picchiare una mazza,
a menare una pialla, a strapparsi la vita.

Li ebbe un tempo i compagni e non ha che trent'anni.
Fu di quelli di dopo la guerra, cresciuti alla fame.
Venne anch'egli a Torino, cercando una vita,
e trovò le ingiustizie. Imparò a lavorare
nelle fabbriche senza un sorriso. Imparò a misurare
sulla propria fatica la fame degli altri,
e trovò dappertutto ingiustizie. Tentò darsi pace
camminando, assonnato, le vie interminabili
nella notte, ma vide soltanto a migliaia i lampioni
lucidissimi, su iniquità: donne rauche, ubriachi,
traballanti fantocci sperduti. Era giunto a Torino
un inverno, tra lampi di fabbriche e scone di fumo;
e sapeva cos'era lavoro. Accettava il lavoro
come un duro destino dell'uomo. Ma tutti gli uomini
lo accertassero e al mondo ci fosse giustizia.
Ma si fece i compagni. Soffriva le lunghe parole
e dovette ascoltarne, aspettando la fine.
Se li fece i compagni. Ogni casa ne aveva famiglie.
La città ne era tutta accerchiata. E la faccia del mondo
ne era tutta coperta. Sentivano in sè
tanta disperazione da vincere il mondo.

Suona secco stasera, malgrado la banda
che ha istruito a uno a uno. Non bada al frastuono
della pioggia e alla luce. La faccia severa
fissa attenta un dolore, mordendo il clarino.
Gli ho veduto questi occhi una sera, che soli,
col fratello, più triste di lui di dieci anni,
vegliavamo a una luce mancante. Ii fratello studiava
su un inutile tornio costruito da lui.
E il mio povero amico accusava il destino
che li tiene inchiodati alla pialla e alla mazza
a nutrire due vecchi, non chiesti.

D'un tratto gridò
che non era il destino se il mondo soffriva,
se la luce del sole strappava bestemmie:
era l'uomo, colpevole. Almeno potercene andare,
far la libera fame, rispondere no
a una vita che adopera amore e pietà,
la famiglia, il pezzetto di terra, a legarci le mani.

Cesare Pavese

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categoria: Poesie

La città del silenzio

La luna che luccica
Sulla città del silenzio
È come il suo volto,
Che tanto amo invano.

Il vento che mi accarezza,
Che mi sfiora e poi mi abbandona,
È come i suoi capelli,
Di cui per poco sentii il profumo.

Ed ora le stelle, il buio del cielo
Mi sembrano inutili e senza senso,
Perché lei non è qui vicina a me,
E so che mai ci sarà.

“Ma l’amore non è
Che una fugace illusione,”
Mi sussurrano gli alberi lucenti
Che oscillano lungo la via.

“L’amore non è che la luna
Che passa nel mare del cielo,
E che poi se ne va,
Alla fine della notte.”

Ma allora, perché sto così male?
Perché riesco a sentire il suo dolce respiro,
Perché posso vederla qui, così vicina,
Anche se la so così lontana?

Oh, no, voi non sapete cos’è l’amore,
Voi non potete saperlo, perché voi non potete amare,
E io non vi presterò più ascolto,
Alberi passivi nella mia sofferenza.

Io non vi ascolterò più,
Anche se questo vorrà dire
Vivere per sempre nel tormento
Di non poterla stringere a me.

Io non vi ascolterò più,
Anche se questo vorrà dire
Tornare per sempre a casa da solo
Nella notte più fredda che mai.

Marco Buso - tratto da Poesia personale

segnalata da Marco Buso mercoledì 14 giugno 2006

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categoria: Poesie

nasce imperia

"un racconto:"nasceva ad porto maurizio... crescette col tempo la leggenda che era un re.... un fantasma.... beveva le sue birre a the dreamers la foce....poi volava in via cascione come un lampo.. e salutava ogni persona... era veloce sai.... e spesso lo trovavi al prino.... dal tapas... a ascoltare il reagge... un giorno si innamoro di ineja... e decise... con un tocco di follia.... di unirle.... .. il gesto fu suggelllato con un matrimonio... tra una donna luisa... di via s.giovanni... e marco.... di via cascione.... c'era tanta gente.... così nacque una nuova città imperia " passarono gli anni e nasceva una città .... che chiamata imperia ... accolse tutti ... tutti dai bianchi ai neri.... marco di s.giovanni adotto un figlio di colore..... assieme ad luisa lo fecero crescere.. assieme.... fecero di tutto. per creare.. l'armonia nella città essi... dovete sapere... che colui che sposo luisa e marco... disse a loro.... " trattate imperia come un fiore... " in quel inverno nascette imperia.... e la bambina di colore divento la prima sindachessa della città" ?

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categoria: poesie

Vicenza

VICENZA

Da molti anni la mia città è Vicenza
Ci vivo bene non potrei farne senza
Osservo tutto con tanta curiosità
Ma quanto è bella questa mia città

Ogni volta che ci andrai a passeggiare
Troverai sempre cose nuove da scoprire
Ora un monumento ora un palazzo
Girovagare per la città è un vero sollazzo

Da Monte Berico davanti al Santuario
Ammiri un panorama straordinario
Ai tuoi piedi tutta la città, che stupore
Si estende fino alle colline con splendore

Sia per la storia che per l’arte
Vicenza merita un discorso a parte
Qui il grande Palladio ebbe i natali
La Basilica è tra i monumenti mondiali

Davanti alla Sua Opera in piazza dei Signori
Rimani affascinato dai suoi tenui colori
Vicenza città dell’ Unesco è dichiarata
Qui la vita scorre come una passeggiata

In questa città si vive tutti in armonia
Ti rallegra la banda che suona per la via
Puoi girare in largo in lungo e in tondo
Ma non troverai posto più bello al mondo

Ubaldo

segnalata da Ubaldo venerdì 25 luglio 2014

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categoria: Poesie

Fiamme e silenzio

le fiamme contemplano ramingo il mio vagare,brucia la città e con essa il mio rancore,ti allontani ma il rammarico ti strozza.....e non dissi una parola.

Luca Renzo Marafioti - tratto da Psiche & Delìa

segnalata da Pino Pom mercoledì 22 dicembre 2010

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categoria: poesie

ogni istante

Ogni istante accarezzerei il tuo viso ogni lacrima bacerei se solo tu fossi qui con me ogni angolo di paradiso conoscerei se solo potessi averti accanto .......ma non e un sogno, una sinfonia é il nostro grande amore che percorre la musica della pace e risuona il fruscio delle foglie e ogni alba e nuova nella vecchia citta che racchiude le due strade che dividono questa immensità......

betty

segnalata da betty giovedì 13 novembre 2008

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categoria: Poesie

sto provando in tutti i modi a rimuovere i tuoi sguardi e i tuoi gesti dalla mia mente ma la cosa pare estremamente difficile,specialmente quando poi ti giri e vai via in silenzio senza nemmeno un saluto.Forse è la scelta più giusta:due città lontane,due storie complicate alle spalle,storie che si intrecciano..due mondi che avrebbero voluto unirsi ma che alla fine si sono arresi..io però vivo senza rimpianti:ho dato l'anima,ho fatto l'impossibile,ho cavalcato calamità naturali e sfidato il buio di luoghi squallidi,ma non mi pento perchè ho vissuto la mia vita fino infondo provandole tutte anche se alla fine ho perso,sono soddisfatta:non ho mai smesso di lottare per ottenere ciò che volevo quindi non ho rimorsi..non bisogna mai pentirsi d'aver amato perchè l'amore forse è l'unica cosa che oggi continua a dare forza ai cuori spezzati come il mio!

segnalata da Dania mercoledì 27 agosto 2003

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categoria: poesie

vado via

Ancora sono qui a vivere quel incontrollato pensiero che si diffonde senza tempo e modo nella mente.La luce dei fari della mia auto mi precede mentre la coperta del cielo notturno avvolge la luce delle città lontane .percorro la strada e penso il tuo nome ,lo chiamo e penso che a volte possa arrivare a bussare al tuo cuore . La musica mi fa compagnia e aspetto questo nuovo giorno con i colori dell' alba .ma tutto ciò mi tormenta .ma che passione mi dico ,non riesco a dimenticarti ,mi faccio una domanda con solo una risposta . Ma io ti AMO? Da tempo non so che cosa è Amare,passione,desiderio,tenerezza ho voglia di nutrirmi di parole mie ,di momenti dove gli sguardi fermano il tempo e rimangono li per tutta la vita.ecco cosa vivo mentre vado via senza dirti Ti AMO

lollo - tratto da vita

segnalata da lorenzo.lollo sabato 26 luglio 2014


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